ANDREA SANGIACOMO
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rendersi conto della propria inadeguatezza e
mediante ciò
poter acce-
dere alla vita virtuosa – cioè abbandonare il vizio e, in questo senso,
esserne ‘perdonati’?
La ragione sembra in realtà perfettamente capace di giungere a
dimostrare apoditticamente quelle verità che fondano la fede – l’
Etica
stessa di Spinoza ne darà prova. Ciò depone indubbiamente a favore
del fatto che la filosofia, come tale, non perviene a nulla che possa dav-
vero sovvertire i fondamenti della religione, anzi, fa molto di più: for-
nisce – almeno
de facto
– una certezza
matematica
a quegli stessi fonda-
menti
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. Se da un lato, certo, «non possiamo cogliere per lume natura-
le che la semplice obbedienza è via di salvezza» (TTP15, 10), per altro
proprio la ragione arriva a dimostrare che virtù e beatitudine coincido-
no, cioè che l’applicazione della legge morale implica di per sé la sal-
vezza – identità su cui, per altro, si chiude l’
Etica.
Sembra così che, seb-
bene Spinoza tenga a rimarcare «l’utilità e la necessità della Sacra
Scrittura» (
ibidem
), queste paiano dettate da ragioni del tutto
antropo-
logiche,
non di principio: al modo in cui del cammino indicato
dall’
Etica
si può dire che «deve essere davvero arduo ciò che si trova
così raramente» (E5P42S), si può parimenti concludere che
cui altri, con nomi diversi, parlano e scrivono tanto? Chi non vede, infatti, che possiamo
benissimo intendere, sotto l’opinione, il peccato; sotto la convinzione, la legge, che
indica il peccato; e sotto la vera conoscenza, la grazia, che ci rende liberi dal peccato?».
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Con questo rilievo, stiamo certo andando al di là del TTP e valutando la sua
tenuta teorica all’interno del più ampio insieme delle opere spinoziane. In TTP15, 7,
ribadita la distinzione di ragione e fede, Spinoza riconosceva alla ragione unicamente il
compito di dare l’assenso alla fede: «il dogma fondamentale della teologia non si può
trovare con il lume naturale, o almeno nessuno lo dimostrò mai, […] ma nondimeno
noi possiamo avvalerci del nostro giudizio per accogliere, almeno per certezza morale,
il dato rivelato». Con ciò, si riconosce però tacitamente che né la religione ha diritto di
sottomettere la ragione (cfr. TTP15, 3), né può dirsi depositaria per eccellenza della
verità, dal che segue la possibilità per la ragione di farsi arbitro della
ragionevolezza
stessa della fede e quindi criterio per valutarne le pretese di validità, compito assunto
proprio dallo stesso TTP. Sul tema, cfr. A. D
OMINGUEZ
,
La morale de Spinoza et le salut
par la foi
, in «Revue philosophique de Louvain» LXXVIII (1980), pp. 345-364, dove il
discorso si spinge a sostenere la complementarietà di ragione e immaginazione ai fini
della salvezza, basandosi sulla tesi per cui, in realtà, le nozioni comuni stesse risultano
un genere di conoscenza misto, affine all’immaginazione medesima, il che, però, se può
avere qualche valore in riferimento al TTP, è piuttosto difficile da sostenere se si tiene
conto dell’
Etica,
dove l’autonomia del secondo genere dal primo è fortemente afferma-
ta (cfr. tra gli altri E2P41-42; E5P28)
.
In merito cfr. anche A. M
ATHERON
,
Le Christ et
le Salut des ignorants chez Spinoza
, Paris, 1971.