ANDREA SANGIACOMO
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per assemblaggio di entità discrete date, ma per interi, ciascuno dei
quali dotato di una sua autosufficienza.
La
vera narratio
della
poiesis
originaria non era né poteva essere un
medium
rivolto a una natura universalmente valida, ma era vera in
quanto costituiva l’unica forma in cui la realtà appariva a chi allora ini-
ziava a farne esperienza
more humano.
La verità del mito non è il suo
corrispondere
alla presunta realtà in sé delle cose, ma il suo essere esso
stesso il primo apparire di quelle cose, l’unico immediatamente acces-
sibile agli albori della civiltà. In questa prospettiva, la ragione era dav-
vero una categoria estranea, frutto di evoluzioni ben posteriori. In tal
senso, l’ermeneutica vichiana, non solo riconosce al massimo grado
l’indipendenza e l’autonomia dell’immaginario e del fantastico rispetto
all’elemento puramente razionale – ponendo con ciò il problema della
derivazione di quest’ultimo dal primo –, ma individua l’elemento pro-
priamente inassimilabile insito in ogni creazione
poietica:
l’ambiguità,
la polisemia, la metaforicità, sono tratti che lungi dal rendere oscuro il
senso di questo genere di discorso, esprimono precisamente e con la
massima esattezza, proprio il significato dell’esperienza originaria da
cui la
lingua degli dèi
si origina e di cui sempre parla.
Onde regna in questa Scienza questa spezie di pruove: che tali
dovettero, deb-
bono e dovranno
andare le cose delle nazioni quali da questa Scienza son ragio-
nate (
Sn44
, §348).
Il ‘dovette deve e dovrà’ riguarda proprio l’esigenza di tutelare la
differenza: è essa stessa la necessità che si impone al pensiero della
Scienza nuova.
L’esperienza del divino non è esperienza di cose, ma
esperienza dell’apertura stessa di un
mondo
come tale, orizzonte di
ogni altra esperienza successiva. In ciò, è un esperire intrinsecamente
ambiguo, esso stesso aperto, il cui significato non sta in quello che uni-
vocamente identifica, ma nella sua potenzialità di identificare un
indif-
finito
numero di enti e tutti accoglierli nel medesimo insieme – l’
univer-
sale fantastico
44
. Il senso del divino è il mistero:
44
Cfr.
Sn44
, §402: «così Giove, Cibele o Berecintia, Nettuno, per cagione d’esem-
pli, intesero e, dapprima mutoli additando, spiegarono esser esse sostanze del cielo, della
terra, del mare, ch’essi immaginarono animate divinità, e perciò con verità di sensi gli
credevano dèi: con le quali tre divinità, per ciò ch’abbiamo sopra detto de’ caratteri poe-
tici, piegavano tutte le cose appartenenti al cielo, alla terra, al mare». Per un analisi della
struttura logica dell’
universale fantastico
cfr. D. D
I
C
ESARE
,
Dal tropo retorico all’univer-
1...,58,59,60,61,62,63,64,65,66,67 69,70,71,72,73,74,75,76,77,78,...152