alla lezione dell’autore della
Diceosina
,
assai ricca di influenze di Machiavelli e
Montesquieu, Boulanger e Rousseau,
quest’ultimo coinvolto nelle riflessioni
critiche sul «lusso». Le ragioni delle pre-
senze ma soprattutto quelle delle assenze
di Vico negli
Elogi
galantiani dedicati al
maestro e al Machiavelli (pp. 559, 560)
sono attentamente discusse in una breve
ma densa ricognizione di temi e problemi
a partire dall’uso del modello italico nel
Saggio sopra l’antica storia dei primi abita-
tori dell’Italia
. Qui la citazione di Vico
risalta nella sottolineatura della coerenza
dell’attenzione genovesiana all’agricoltu-
ra con lo studio di Galanti sul «rapporto
tra agricoltura-sviluppo demografico e
vita civile» (p. 564) e ritorna nel capitolo
conclusivo a proposito delle forme di
«costituzione politica» e «civile» degli
antichi popoli italici e dei loro ordina-
menti giuridici a partire dalle leggi delle
XII tavole, richiamate dal filosofo napo-
letano all’antico «diritto naturale delle
genti» del Lazio (p. 565). Né meno rile-
vanti sono i passaggi interni al
Prospetto
storico
, dove nella rivalutazione della
sto-
ria filosofica
ci sono echi delle
degnità
della
Scienza nuova
, ricordata anche nella
Descrizione di Napoli
che presenta l’A.
come «per metà uomo di genio», perché
affettò un linguaggio tutto nuovo ed amò
farsi capire da pochi» (p. 571). A tale
cli-
ché
interpretativo che giunge a Cuoco e a
Lomonaco, Galanti opporrà un nuovo
tentativo di interpretazione del classico
esaminato, tentando una «giustificazione
dell’ ‘oscurità’ di Vico» (p. 573) in sinto-
nia con le tesi di Cesarotti e, poi, di
Cuoco, finalizzate all’«affermazione di
una identità storico-culturale napoletana
che ha in Vico e in Genovesi i due cardi-
ni per il secolo XVIII» (p. 574).
[F. L.]
17. M
ONTANO
Aniello,
Giuseppe Capo-
grassi. Oltre le interpretazioni cattoliche di
Vico
, in I
D
.,
I testimoni del tempo. Filo-
sofia e vita civile a Napoli tra Settecento e
Novecento
, Napoli, Bibliopolis, 2010, pp.
325-357.
L’A. ricostruisce preliminarmente le
polemiche antivichiane del Settecento, a
partire da quelle, quando Vico era ancora
in vita, di Capasso, Gentile e De Turris,
fino a quelle successive alla sua morte, di
Romano, Lami e Finetti, l’impegno dei
quali, complessivamente, «tutto concen-
trato nel verificare la fedeltà del discorso
vichiano alla tradizione biblica consolida-
ta se non irrigidita, trascura completa-
mente i caratteri di novità e di razionalità
di quel discorso e il conseguente affac-
ciarsi e affermarsi in esso del modo
nuovo d’intendere natura e storia della
società» (p. 329). In particolare, l’A. si
sofferma sull’accusa (vedi Finetti) secon-
do cui Vico, «nell’accettare lo ‘stato feri-
no’, professava una filosofia paragonabile
a quella dei ‘materialisti’ e dei ‘libertini’»
(p. 339), e in tal caso avallerebbe una
realtà umana posta al di fuori della libera
creazione di Dio e inserita invece nella
semplice produzione naturale. In questo
senso va considerata all’opposto la tesi di
Capograssi, il quale «rivendica, nel farsi
della storia, l’autonomia e la centralità
dell’uomo, dell’individuo concreto e sto-
rico, non empirico e isolato, dell’indivi-
duo realizzantesi nel vivo dell’esperienza,
spinto da una tensione ad agire da cui
‘sorge il mondo umano’, vale a dire il
mondo della storia, un mondo fatto dagli
uomini, non prefigurato in alcun disegno
e non sfociante in alcun fine predetermi-
nato» (pp. 342-343). La lettura che fa
Capograssi di Vico supera dunque «la
visione antindividualistica e antiumano-
centrica della storia stessa, tipica di certa
cultura cristiana» (p. 343). Il
De uno
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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