costituisce per Capograssi il punto di par-
tenza di una «filosofia dell’autorità» che è
per l’appunto l’individuazione nella
drammaticità della vita (colta nella mo-
naccia del primo fulmine) di un intrinse-
co elemento razionale che consente al-
l’uomo di vivere i propri bisogni e le pro-
prie inclinazioni naturali nel momento in
cui in realtà non fa che esprimere le idee
umane corroborate dalla luce della
mente, pur all’interno di un destino che
appartiene a quell’individuo concreto e
che deve essere messo in croce per poi
risorgere. Di qui la funzione della Provvi-
denza, la quale costituisce il centro onto-
logico dell’uomo che sottrae al pessimi-
smo e al nichilismo per avviare un nuovo
corso della storia «in caso di divaricazio-
ne tra bisogni e aspirazione degli indivi-
dui concreti e ordine cristallizzato di una
specifica società o in presenza di ricaduta
nel baratro sempre incombente dell’anar-
chia politico-civile» (p. 357).
[A. S.]
18. M
ONTANO
Aniello,
Vico e le repubbli-
che di «mercadanti». Sulla genesi dello
Stato in età moderna
, in I
D
.,
I testimoni
del tempo. Filosofia e vita civile a Napoli
tra Settecento e Novecento
, Napoli,
Bibliopolis, 2010, pp. 29-57.
L’A. affronta l’idea di Stato e di insita
politicità di Vico dopo aver riassunto
alcune delle più importanti posizioni
della storiografia novecentesca (Piovani,
Giarrizzo, Badaloni), in opposizione o
comunque in dialogo critico con Croce.
In Vico assistiamo dopo il
De ratione
,
a un deciso spostamento di attenzione
dalla
sapienza
nel suo primato educativo
al
corpo
inteso come elemento di relazio-
ne sociale, inducendolo a mutare la con-
siderazione sulla politica e sulla genesi
dello Stato moderno. Fondamental-
mente, nota Montano, «la novità intro-
dotta da Vico consiste nella sostituzione
allo
ius naturae et gentium
, il diritto della
natura e delle genti di Pufendorf, lo
ius
naturale gentium
, il diritto naturale delle
genti», ovvero non un diritto considerato
insito nella natura ma, sebbene radicato
in luoghi e tempi determinati, «pur sem-
pre originato e vivificato da principi uni-
versali ideali» (p. 38). Ma, come è noto,
non è solo col giusnaturalismo che l’ana-
lisi vichiana sull’uomo e sul mondo
umano si confronta; fondamentalmente,
gli interlocutori polemici sono Hobbes e
Spinoza, i quali danno vita ad una imma-
gine dello Stato in cui rispettivamente
trasferiscono tutto il diritto naturale o
gran parte di esso, a partire dall’assunto
iniziale di una naturale ostilità tra gli
uomini. Per Vico invece, nella natura ori-
ginaria dell’uomo vanno colte la sapienza
e la bontà, oltre alla potenza; «se nella
natura primigenia dell’uomo non fosse
già implicita, accanto al
corpus
, una
mens
,
avente in sé insita la nozione di equità,
non ci sarebbe neppure una naturale
socievolezza» (p. 41); cosa di cui Vico è
pervicacemente convinto, pena il perico-
lo dell’autoritarismo in cui fatalmente
slittano i sistemi in cui manchi la fede
spontanea e scambievole tra gli uomini.
In questo senso ben si comprende il
nuovo ruolo attribuito da Vico al corpo e
alla mente, entrambi coincidenti nel fon-
dare l’equilibrio naturale ricevuto all’atto
della creazione; così come si comprende
la reazione del filosofo napoletano contro
la spregiudicatezza dell’utilitarismo giuri-
dico. Dunque, alla base della concezione
del filosofo napoletano vi è una fiducia
nella natura socievole dell’uomo che non
viene scalfita nemmeno dall’ ‘erramento
ferino’ e che si costruisce su «una diversa
ontologia genetico-umana» (p. 49) che lo
porta a polemizzare contro il contrattua-
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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