ROSARIO DIANA
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Come si può agevolmente osservare, anche in questo caso le «diffi-
coltà» venivano eliminate rimuovendone le «principali cause»: ossia la
distinzione fra
qualità primarie
e
qualità secondarie
, che perdeva in tal
modo ogni credenziale filosofica, così come svaniva miseramente ogni
vagheggiata contrapposizione fra oggetto esterno esistente in sé e idea
che lo rappresentava. Berkeley, dunque, azzerava ogni possibile distan-
za intercorrente fra realtà ed apparenza, rendeva priva di senso ogni
loro pensata antitesi e le identificava reciprocamente nel contenuto del-
l’idea, che è vero in quanto autoreferenziale, non rimandando più ad
alcun oggetto esterno rappresentato in idea ma necessariamente igno-
rato nella sua inseità. Forte di queste conclusioni, nei
Dialoghi
Berkeley
dirà, per bocca di Philonous e rivolto a Hylas:
Io sono dell’opinione che le cose reali siano
proprio le cose che vedo, tocco e
percepisco con i sensi
. Queste cose le conosco, trovo che soddisfino tutte le
necessità e rispondano a tutti gli scopi della vita: quindi non ho nessun motivo
di preoccuparmi di altri esseri sconosciuti. Ad esempio, un pezzo di pane sen-
sibile appaga il mio stomaco diecimila volte di più di quel pane insensibile,
intelligibile e reale, del quale tu parli [allude, naturalmente, al ‘pane in sé’]. […]
Vorrei essere presentato come
uno che ha fiducia nei propri sensi
, che
crede di
conoscere le cose che vede e tocca
, e
non nutre dubbi riguardo alla loro esistenza
.
[…]
Io non voglio trasformare le cose in idee, ma le idee in cose
. Infatti gli
oggetti immediati della percezione, che secondo te sono mere apparenze delle
cose reali, per me sono le cose stesse
17
.
Se, dunque, il contenuto dell’idea, con la forza irresistibile dell’im-
mediatezza e dell’autoevidenza, imponeva la propria verità esclusiva, e
se la conoscenza si realizzava entro la piena trasparenza di un rassicu-
rante orizzonte soggettivo che nulla concedeva al dubbio e a supposti
residui oscuri e inintelligibili
18
, allora non c’era più spazio per una pos-
assoluti non significava però, per Berkeley, rifiutare i principi della fisica e della mec-
canica, da lui considerate scienze che dovevano limitarsi a ricercare le leggi del movi-
mento e non le sue cause, campo di indagine, quest’ultimo, affidato da Berkeley alla
filosofia prima o metafisica (su questo punto cfr. ivi, pp. 439 sgg.; la Lettera di Berkeley
a Johnson del 25 novembre 1729, cit., p. 470; I
D
.,
Siris. Catena di riflessioni e di ricer-
che filosofiche riguardo alle virtù dell’acqua di catrame, con vari argomenti connessi tra
loro e derivanti l’uno dall’altro
, 1744, in
OF
, pp. 631-633, 640, 661).
17
Tre dialoghi
, rispettivamente pp. 363, 373, 382.
18
«Il colore, la figura, il movimento, l’estensione e così via – leggiamo nel
Trattato
–,
considerati soltanto come
sensazioni
della mente,
sono conosciuti perfettamente, poiché non
c’è nulla in essi che non sia percepito
» (
Trattato
, p. 243 – dopo «
sensazioni
», corsivi miei).
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