DISAPPARTENENZA DELL’IO
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sibile deriva scettica, che per l’appunto solo dal dubbio e dalla dichia-
rata inconoscibilità del reale poteva trarre il proprio nutrimento.
A questo punto dovrebbe essere sufficientemente chiaro il significa-
to dell’«
esse est percipi
» nella sua duplice portata, gnoseologica ed
ontologica: la modalità, in idea, con cui le ‘cose’ vengono apprese è la
stessa con cui esse sono; vengono conosciute in quanto percepite da un
soggetto, e sono
per
e
grazie
a quest’ultimo. L’essere delle ‘cose’ è nel
loro essere percepite da una «
mente
» o «
spirito
» o «
anima
»: esse «esi-
stono solo nella mente, hanno cioè un’esistenza puramente nozionale»
19
e «non è possibile che esistano al di fuori delle menti o delle cose pen-
santi che le percepiscono»
20
.
Messo fuori gioco lo scetticismo, restava però ancora aperta un’im-
portante questione.
Se è vero, per dirla con Samuel Johnson – il discepolo americano di
Berkeley –, che il mondo, per esistere, ha bisogno di uno «spettatore»
21
,
è anche vero che allo spettacolo
si assiste
e
non lo si crea
. In un luogo
estremamente chiaro del
Trattato
leggiamo:
Per quanto potere io abbia sui miei pensieri, mi accorgo che le idee realmen-
te percepite dai sensi non dipendono nello stesso modo dalla mia volontà.
Quando apro gli occhi in pieno giorno, non è in mio potere decidere o meno
di vedere, né stabilire quali oggetti particolari debbano presentarsi al mio
sguardo; la stessa cosa avviene per l’udito e per gli altri sensi: le idee impresse
su di essi non sono creature della mia volontà. Dunque c’è un’altra volontà o
un altro spirito che le produce
22
.
Questo «spirito» che ‘imprime’ le idee nei sensi dei soggetti umani
è Dio, nella cui mente le idee sono contenute
23
. Nei
Dialoghi
Berkeley
chiarisce ulteriormente la questione, scrivendo:
Le cose sensibili possono esistere solo in una mente o spirito: da questo non
inferisco, però, che non abbiano un’esistenza reale, ma concludo che, poiché
19
Ivi, p. 216.
20
Ivi, p. 199.
21
Lettera di Johnson a Berkeley del 10 settembre 1729, in
Corrispondenza filosofi-
ca…
, cit., p. 465.
22
Trattato
, pp. 213-214.
23
Per Berkeley le idee sono enti mentali assolutamente inerti: «un’idea non può
essere la causa di un’altra idea» (ivi, p. 232). Solo le sostanze spirituali – ovvero gli
uomini e la divinità – possono muoverle e comunicarsele reciprocamente.
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