ROSARIO DIANA
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non dipendono dal mio pensiero ed esistono indipendentemente dal fatto di
essere percepite da me,
deve esserci qualche altra mente nella quale esistono
.
[…]
C’è una mente che mi trasmette ad ogni istante tutte le impressioni sensi-
bili che percepisco
24
.
Il filosofo irlandese, inoltre, accettava
25
la spiegazione efficace della
questione fornita da Samuel Johnson, che nella lettera del 5 febbraio
1730, a lui indirizzata, scriveva:
Le cose sensibili esistono
in archetypo
nella mente divina. Quindi, l’idea divina
di un albero, per esempio (cioè un albero nella mente divina), dev’essere l’ori-
ginale o l’archetipo delle nostre idee, e queste una copia o immagine della Sua
(nello stesso senso in cui le nostre anime sono immagini di Lui): ce ne possono
essere parecchie, nelle diverse menti create, così come possono esserci molte
immagini dipinte di un solo originale, al quale tutte devono essere riferite
26
.
Il mondo berkeleyano conosce, quindi, solo sostanze spirituali: quel-
le umane e quella divina. Solo in esse le «cose sensibili», ovvero perce-
pite, possono trovare la collocazione corrispondente alla loro natura. Le
idee esistono nelle menti degli uomini; l’esperienza della loro apparizio-
ne interiore, indipendente dalla volontà dei soggetti, attesta che l’uomo
non le produce, ma, al contrario, le riceve direttamente – senza, cioè, la
mediazione della materia
27
– da un’altra mente, che non può non essere
quella divina. «Le regole fisse e i metodi stabiliti – scrive inoltre
24
Tre dialoghi
, rispettivamente pp. 341 e 345. Nel 1931 Antonio Sarno, commen-
tando il berkeleyano «
esse est percipi
», scriveva: «Dal filosofema che
esse est percipi
, un
lettore moderno si sarebbe atteso una dottrina del conoscere, come creazione o produ-
zione spirituale, e non già come
mimesi
; un racconto del come noi produciamo i con-
cetti di spazio, di tempo, di corpo, di moto, di colore, di sapore e mediante essi inven-
tiamo o costruiamo la percezione. Nel B.[erkeley], niente di tutto questo» (A. S
ARNO
,
Note su Berkeley
, in I
D
.,
Filosofia poetica
, nuova edizione a cura di F. Flora, Bari, 1959,
pp. 66-67). Sarno qui sembra chiedere troppo a Berkeley, che certo non era Kant, e
nemmeno poteva accettare di ridurre lo ‘spettacolo’ del mondo a mero «racconto» o
‘fantasia’ del soggetto.
25
Cfr. Lettera di Berkeley a Johnson del 24 marzo 1730, in
Corrispondenza filosofi-
ca…
, cit., p. 485.
26
Ivi, pp. 477-478. Sulla distinzione fra modo
archetipico
e modo
ectipico
nella esi-
stenza delle idee cfr.
Tre dialoghi
, p. 395.
27
Negli appunti giovanili del filosofo si legge, a tal proposito: «Nella mia dottrina
non c’è separazione fra Dio e la natura o cause seconde» [I
D
.,
Gli appunti (Common-
place Book)
, cit., p. 297, n. 377].