ROSARIO DIANA
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mo un triangolo, mi sembra altrettanto assurdo che sperare di poter
vedere un
suono
34
.
Per quanto, dunque, ci si possa sforzare, non si riuscirà mai a cono-
scere uno spirito per mezzo di un’idea; sicché il ‘principio’, «
esse est
percipi
», non può mai valere per le sostanze spirituali. Berkeley non
negava che dell’
esistenza
di sé si avesse una certezza assoluta, immedia-
ta, intuitiva
35
, non derivante da un’idea ma da un «atto riflesso»
36
; rite-
neva, però, che la
conoscenza
di sé potesse realizzarsi solo indirettamen-
te, ovvero «attraverso gli effetti» che «la natura dello
spirito
o di ciò che
agisce […] produce»
37
. Sempre nel
Trattato
, Berkeley aggiungeva,
volendo sottolineare il carattere mediato della conoscenza dello spirito
e della mente:
Si deve riconoscere […] che abbiamo una certa
nozione
dell’anima, dello spi-
rito e delle operazioni della mente – come il volere, l’amare, l’odiare – perché
conosciamo o comprendiamo il significato di queste parole
38
.
Come attesta un brano chiarissimo – ancora del
Trattato
–, che meri-
ta di essere letto per intero e senza bisogno di ulteriore commento,
indiretta ed analogica è anche la conoscenza degli altri spiriti e di Dio,
ma ovviamente con pesi e misure del tutto diversi e sbilanciati dalla
parte della divinità.
È chiaro […] che non vediamo un
uomo
, se per uomo s’intende un essere che
vive, si muove, percepisce e pensa come facciamo noi: vediamo solo una certa
34
Ivi, p. 274.
35
«Io, che sono uno spirito o sostanza pensante – leggiamo nei
Dialoghi
–, esisto
con la stessa certezza con la quale so che esistono le mie idee. […] So ciò che intendo
con le parole
io
e
me stesso
; questo lo so immediatamente e intuitivamente» (
Tre dialo-
ghi
, pp. 365-366).
36
Cfr. ivi, pp. 366-367.
37
Trattato
, p. 212.
38
Ivi, p. 213 (corsivo mio). Il termine «nozione», distinto dal concetto di «idea»
(cfr. ivi, p. 274), viene introdotto nella seconda edizione del
Trattato
(1734) proprio per
definire la conoscenza della sostanza spirituale (cfr. S. P
ARIGI
,
Il mondo visibile. George
Berkeley e la ‘perspectiva’
, Firenze, 1995, p. 141; sul tema cfr. anche M. F
IMIANI
,
George
Berkeley. Il nome e l’immagine
, Cosenza, 1979, pp. 77 sgg.). Anche in questi passaggi
del
Trattato
sembra insinuarsi quell’opacità dell’Io già rilevata a suo tempo in Vico (su
ciò sia consentito rimandare al mio saggio cit.
supra
, nota 1). Ma questo è un itinerario
che qui possiamo solo indicare, non percorrere.
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