place dans la vision du monde des modernes. Il s’agit de la prudence, de cette
froénhsiv
analysée par Aristote et transmise par les Romains, sous le nom de
prudentia
, à l’Occident chrétien» (p. LVIII). Vico procede, nella lettura di
Pons, a una vera e propria opera di riabilitazione della politica intesa come
arte della prudenza, ma soprattutto questo affrancamento si accompagna
strettamente anche a una riconsiderazione della retorica come arte dell’elo-
quenza. L’accostamento tra politica e retorica, sul quale Pons cattura l’atten-
zione, è suggestivo e d’importanza estrema, soprattutto nella sua componente
aggregativa e sociale, nella sua capacità – essendo essa «tout entière affaire de
l’
animus
» (p. LXV) – di trasformare il filosofo di corte in vero e proprio uomo
di stato, liquidando i conti sospesi con il machiavellismo. Attraverso queste
tappe concettuali l’obiettivo finale del
De ratione
ci si delinea come il disegno
di formazione dell’uomo saggio moderno e questo tema rappresenta anche,
secondo Pons, il motivo più importante della sopravvivenza della filosofia
vichiana e della sua capacità di dire ancora qualcosa. Il saggio vichiano «se
heurte à des limites, dues à la faute originelle, pense Vico, qu’elle ne peut fran-
chir, et à l’intérieur desquelles elle doit exercer ses pouvoirs. Une forme de ces
pouvoirs est précisément représentée, pour lui, par la rhétorique, l’art rationnel
de la parole, c’est-à-dire de la faculté humaine par excellence» (p. LXXXII).
Il testo letto da Vico il 18 ottobre 1708 – e il fatto che fosse letto e non
scritto costituisce una differenza importante nell’interpretazione filologica
condotta da Andrea Battistini – non ci è giunto in questa forma, ma solo in
quella a stampa del 1709 e in forma manoscritta in quell’esemplare conserva-
to presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (il XIII B 55) del quale si occupa-
rono a suo tempo e in fasi successive F. Nicolini, S. Monti e G. G. Visconti.
Finora di questo manoscritto si è reputato che precedesse la versione a stam-
pa, notevolmente più lunga e rappresentativa quindi di una versione amplifi-
cata: Battistini reputa, infatti, che si potrebbe invece trattare di una redazione
anteriore alla lettura universitaria. Prima di tutto, adducendo motivi legati
proprio alla lunghezza dei testi: «L’hypothèse selon laquelle le texte contenu
en D pourrait être celui qui a été lu oralement est peu plausible, à cause de sa
longueur. Bien que prononcé en une occasion particulière, le discours de Vico
ne pouvait en effet durer tout le temps qui aurait été nécessaire pour lire le
texte conservé par le manuscrit. Il est plus raisonnable de penser que ce der-
nier est une version écrite, dejà beaucoup plus long que la version orale» (p.
LXXXIX). Tra l’altro, ragiona Battistini, si tratta comunque già nell’
editio
princeps
di un discorso lungo quasi il doppio delle orazioni precedenti. È dun-
que indispensabile – e non accessorio, come voleva Nicolini – tenere in giusto
conto il manoscritto, ma il confronto con questo rende anche possibile identi-
ficare quali parti sono state aggiunte nella versione a stampa e avvicinarci in
maniera comprensiva alla «sédimentation de la pensée de Vico dans un sens
diachronique» (p. XC). Naturalmente, i motivi addotti dal curatore non sono
RECENSIONI
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