camente nella formulazione di dottrine giuridiche che rispondessero ai bisogni
della loro epoca – e tenendo comunque viva la tensione a elaborare principi e
leggi che potessero essere universalmente accolti.
Nel momento in cui la scienza giuridica si confrontava con l’analisi storica,
sorgevano tuttavia complicazioni non trascurabili, in gran parte dovute alla
diffusione di forme più o meno radicali di pirronismo storico, conseguenza
dell’applicazione di schemi cartesiani capaci di invalidare la conoscenza stori-
ca in generale. Come già messo in luce da un grande storico della filosofia
moderna quale Paul Hazard, il cartesianesimo, con il suo tipico atteggiamen-
to di persistente sospetto nei riguardi della memoria individuale e dunque, per
maggior ragione, della memoria storica, trasmessa attraverso testimonianze e
fonti, aveva in sé il potenziale per privare di senso la scienza storica sin nei suoi
fondamenti metodologici. Fu infatti un pirronista, Martin Schoockius, che
ritenne la
Lex Regia
un falso storico, forgiato nel sesto secolo da Triboniano al
fine di giustificare il potere di Giustiniano. Fu però Ulrik Huber che, appli-
cando accurate metodologie di analisi filologica che tenevano in considerazio-
ne il contesto e le motivazioni storiche, politiche e psicologiche di quell’impor-
tante documento (metodologie già applicate in parte da Gronovius nella sua
analisi del testo), ne provò l’autenticità. In tal modo, Huber non solo consen-
tì ai suoi colleghi di continuare l’esame della
Lex Regia
e la riflessione critica
sulle sue conseguenze nell’ambito giuridico e politico, senza preoccupazioni
relative alla sua autenticità, ma dimostrò anche che l’applicazione selettiva di
criteri cartesiani poteva perfino essere utile alla scienza storica. Infatti, mentre
«un approccio rigidamente cartesiano avrebbe portato alla completa dissolu-
zione dei principi della filosofia politica classica», gli studiosi coinvolti nel
dibattito sulla
Lex Regia
proposero, in gran parte, «un cartesianesimo essen-
zialmente ridotto a provvedere indicazioni metodologiche che potevano esse-
re usate nella conoscenza storica, alla luce, cioè, di un’evidenza
fattuale
, e non
necessariamente matematica» (p. 35).
Le conclusioni cui gli studiosi presi in considerazione da Lomonaco giun-
sero, in merito all’origine e ai limiti dell’autorità politica, si rivelarono anche
fortemente divergenti. Ad esempio, Ulrik Huber pervenne alla tesi hobbesia-
na secondo cui il sovrano, una volta ricevuto il potere dal popolo, non potes-
se esserne privato – nonostante Huber, ancora come Hobbes, ritenesse che il
dovere primario del sovrano fosse quello di proteggere il popolo, e che dun-
que il sovrano non potesse ordinare ai sudditi azioni contrarie alla loro preser-
vazione. Al contrario, Gerard Noodt propose una concezione chiaramente
lockeana della sovranità, la quale apparteneva in ogni caso al popolo, e auto-
rizzava dunque il popolo a ribellarsi contro governi divenuti tirannici.
Al di là delle conclusioni riguardanti le origini e la natura del contratto
sociale e le prerogative e i limiti dell’autorità politica, l’aspetto più interessan-
te del dibattito sulla
Lex Regia
, che Lomonaco pone propriamente in luce,
RECENSIONI
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