può essere artificiosamente separata dalla sfera del fare e del produrre. La fan-
tasia non è solo la facoltà attraverso cui nascono miti e favole, ma è anche lo
strumento attraverso cui le produzioni mitico-fantastiche (ad esempio l’idea di
Giove) costituiscono una spiegazione dei fenomeni naturali, forniscono una
sorta di sicurezza psicologica e nello stesso tempo permettono di incivilire gli
uomini promuovendo le prime forme di socializzazione. Cacciatore mette l’ac-
cento sul fatto che in Vico il sentire, l’immaginazione e la fantasia non sono
soltanto gli strumenti narrativi e rappresentativi della storia dei popoli nei suoi
inizi, ma rappresentano gli elementi costitutivi della mente umana e delle
forme umane di socialità (si pensi alla comparazione analogica tra infanzia dei
popoli e infanzia dell’uomo). L’elemento creativo-fantastico e la storicità del
mondo umano che emerge a partire dalle infinite storie degli infiniti sé indivi-
duali costituiscono l’autentico punto di mediazione tra la struttura ontologica
della mente e le determinate vicende racchiuse nelle biografie degli individui
e dei popoli. La grande vitalità delle nozioni vichiane dell’universale fantasti-
co e della saggezza poetica – conclude dunque Cacciatore – va oltre la pur rile-
vante delucidazione del ruolo della fantasia e del mito nella ricostruzione sto-
rica delle origini e si configura come una delle possibili modalità di compren-
sione della esperienza etica, psicologica e conoscitiva dell’uomo contempora-
neo: basti pensare, ad esempio, all’impiego dell’idea vichiana di attività fanta-
stica nell’antropologia e nello studio delle mentalità primitive o al ruolo del-
l’immaginazione nel processo di autocostruzione dell’individualità, come
riconquista della sfera del sentire in un’epoca di frammentazione, di dispersio-
ne dei valori e di crisi dei modelli della razionalità moderna e contemporanea.
L’articolo di Francesco Campagnola,
Breve historia de la recepción de Vico
en Japón
(pp. 33-41), traccia un percorso degli studi vichiani in Giappone nel
Novecento, dalla metà degli anni Venti alla fine del secolo scorso. In partico-
lare Campagnola ricorda, negli anni Trenta, le figure di Watsuji Tetsur
ø
e
Hanu Gor
ø
: il primo, critico dell’idea heideggeriana della supremazia del
tempo sullo spazio, è interessato a Vico soprattutto perché mette in questione
il sistema cartesiano e, in particolare, sostituisce l’umanità all’astratto e meta-
storico soggetto cartesiano; il secondo coniuga una visione della storia di chia-
ra impronta marxista con la lettura e l’insegnamento crociani dell’opera
vichiana. Anche i lavori di Aoki Iwao, che traduce nel 1932 la monografia cro-
ciana su Vico, è centrato sulla contrapposizione Vico-Descartes, che caratte-
rizza una fase importante della ricezione giapponese del filosofo napoletano.
Nel 1946 appare la prima traduzione in giapponese di un testo vichiano: si
tratta di una traduzione parziale della
Scienza nuova
ad opera di Kuroda
Masatoshi. A Shimizu Ikutar se ne deve, invece, la prima traduzione comple-
ta (1975), oltre una serie di saggi sulla visione vichiana della storia e sul con-
fronto tra Vico e Descartes. Tra gli anni Ottanta e Novanta, conclude
Campagnola, emerge una nuova generazione di studiosi vichiani e si apre una
RECENSIONI
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