vivace stagione segnata di traduzioni (il
De nostris temporis studiorum ratione
,
il
De antiquissima
, l’
Autobiografia
) e dalle due monografie di Tadao Uemura
(1988 e 1998), incentrate sull’idea che il modello filosofico vichiano, allonta-
nandosi dal paradigma classico delle scienze, può denotarsi come un pensiero
barocco, che si identifica con la stessa facoltà dell’ingegno, intimamente lega-
ta al processo di sviluppo di una «logica dell’immaginazione» (p. 39).
Bruno, Vico y el Barocco
(pp. 43-64) di Enrico Nuzzo è un studio su Bruno
e Vico in rapporto al Barocco. A riguardo, rispetto a una tradizione secondo
la quale lo stile e il linguaggio seguono il pensiero limitandosi a esprimerlo con
maggior o minor capacità espressiva, è – per Nuzzo – un’altra prospettiva che
consente di recuperare l’idea del ‘barocco nella filosofia’, quella secondo cui il
concetto prende corpo a un livello profondo del linguaggio, a partire da una
logica preriflessiva che si manifesta in alcune figure del pensiero.
Fondamentale premessa del barocco è la crisi del tradizionale pensiero onto-
logico, delle correlativa idea tradizionale di ordine e delle corrispondenti
forme di conoscenza (di ordine analogico). È a partire dall’abbandono e dalla
trasformazione del pensiero analogico che prende forma la modernità come
spazio, secondo Nuzzo, complesso e omogeneo, in cui si aprono diverse dire-
zioni. In questa prospettiva storico-teorica è possibile leggere autori come
Bruno e Vico mettendone in luce il «linguaggio filosofico barocco» (p. 47) e
vagliando la possibilità di intravedere un insieme di risposte alla crisi del fon-
damento che siano non solo ‘espressive’ di questa, ma anche ‘costruttive’, in
linea con il pluri-prospettivismo conoscitivo di un rinnovato impiego dell’ana-
logico. Nel caso di Bruno, Nuzzo segnala i tratti strettamente stilistici della sua
scrittura, come l’adozione e l’uso innovativo di vari generi letterari o l’inventi-
va capacità linguistica che si rivela nella sovrabbondanza lessicale e nella spe-
rimentazione di una sintassi audace: il gusto per l’enumerazione, l’accumulo di
elementi linguistici, l’illimitata proliferazione del discorso rinviano ai tratti
esteriori di un canone manierista o barocco, anche se la spontanea aderenza di
tali tratti stilistici a un’ispirazione vitale e sanguigna sono altra cosa rispetto a
certe forme di mero esercizio stilistico barocco. Nel caso di Vico, pur se è
generalmente riconosciuto un suo debito con la cultura barocca (si pensi al
ruolo dell’immagine e del metaforico nei testi vichiani), nella tensione di un
pensiero sintetico che mira a coniugare il vero e il certo, la filosofia e la filolo-
gia, si allontana dall’immaginazione scenografica e prospettivista del barocco
molto più decisamente di un filosofo come Leibniz.
Nel saggio
Vico, la decadencia y el
ricorso (pp. 67-85), Fulvio Tessitore
indaga il tema della decadenza e il suo denso spessore politico, considerando
la stretta connessione tra il destino dei popoli e la miglior forma di governo.
In un filosofo così attento ai principi essenziali che emergono nel nascere delle
cose, il tema della decadenza è tuttavia centrale, innanzitutto perché Vico
osserva le origini, i ‘nascimenti’, i principi proprio a partire dal rischio della
RECENSIONI
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